Un addio che tocca gli appassionati: il designer di una vettura amatissima: un vero genio dei motori che ci mancherà tantissimo
C’è chi fa rumore e chi lascia un segno. Tom Matano apparteneva alla seconda categoria: pochi lo conoscevano, non era un volto da copertina, ma ha cambiato il modo di intendere la spider moderna. La sua idea ha fatto strada: leggera, onesta, alla portata di molti.
Matano era cresciuto in Giappone, ma si era formato negli Stati Uniti a Pasadena e aveva lavorato tra America ed Europa, passando da General Motors e BMW. È stato qui, che ha affinato l’occhio per proporzioni e pulizia; solo nel 1983 è arrivato in Mazda, a guidare il centro stile nordamericano.
L’idea dietro la MX-5
L’idea era quella di dare più anima ai modelli della Casa, ma senza mai perdere di vista la funzionalità ed è così che in un piccolo studio della California è nato il progetto che ha fatto scuola, con un nome che diceva già molto: Project Phoenix.
Un sogno che diventava realtà, con lo spirito delle roadster inglesi, unito all’affidabilità e al rigore giapponese. La ricetta sta tutta nel jinba ittai: auto e guidatore che si muovono insieme: ogni scelta segue questa linea, dalla carrozzeria pulita, all’abitacolo raccolto, al peso sotto controllo.
Il lavoro di Matano non si ferma alla Miata. In Mazda ha lasciato il segno anche sulle RX-7 FC e FD, due sportive a motore rotativo e ha contribuito a definire un linguaggio essenziale, tecnica al servizio della guida, coerenza di famiglia. Una direzione che ha dato identità al marchio negli anni Novanta e Duemila.
Poi la svolta: dai prototipi all’aula; nei primi Duemila Matano guida la School of Industrial Design dell’Academy of Art University di San Francisco. Insegna a progettare partendo dalle persone, non dai software. Ergonomia, relazione uomo–macchina, impatto emotivo. Ripeteva spesso un concetto semplice: un progetto è finito quando non c’è più nulla da togliere. Less is more, al suo massimo.
Le vendite gli hanno dato ragione: la MX-5 è la roadster più venduta di sempre, con oltre 1,2 milioni di unità. Dalla NA alla ND attuale il filo non si è spezzato: leggerezza, equilibrio, divertimento. La prima montava un 1.6 da 116 CV, 0-60 mph in 9,2 secondi, 116 mph di punta. Oggi il 2.0 aspirato da 181 CV porta lo 0-60 a 6,7 secondi e la velocità massima a 139 mph.
Questo è il lascito più chiaro: riportare la guida al centro, senza fronzoli. Per ricordarlo basta poco: uno sterzo che parla, un cambio corto, una curva presa pulita. È lì che la sua idea continua a vivere.
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